Decisione N. 22745 del 10 ottobre 2019 (Collegio di Coordinamento)
Il ricorrente, titolare di una carta ricaricabile emessa dall’intermediario resistente, riferisce che in data 21/03/2019 constatava, in base all’esame della lista dei movimenti relativi alla carta, che il giorno 19/03/2019 era stata eseguita da terzi ignoti un’operazione di pagamento on-line a favore di un beneficiario estero, per € 1.020,00. Il ricorrente disconosceva l’operazione, precisando di non aver ceduto la carta a terzi, di non aver mai subito furto o smarrimento del PIN e di non averne mai rivelato gli estremi. In pari data sporgeva denuncia, ribadendo quanto affermato nel modulo di disconoscimento. Tanto premesso, il ricorrente chiede il rimborso della somma di € 1.020,00
La banca si difende affermando che dalle tracciature informatiche risulterebbe una “spunta verde” apposta all’operazione contestata, che denota l’assenza di anomalie o irregolarità al momento della sua esecuzione. Precisa, altresì, che l’operazione è stata eseguita con sistema dinamico di autorizzazione con utilizzazione dell’OTP.In particolare, la password dinamica sarebbe stata inviata tramite sms al numero di cellulare del cliente. L’intermediario aggiunge di avere messo a disposizione dei clienti un sistema di sms alert, attivabile gratuitamente, che offre la possibilità di mantenere sotto controllo i movimenti relativi alla carta.
La motivazione della decisione dell’Arbitro bancario che accoglie il ricorso del titolare della carta
Il collegio arbitrale nella decisione richiama, in particolare, il disposto dell’art, 10 del decreto legislativo n.11/2010 che statuisce: “qualora l’utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento già eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, è onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l’operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti”. Fa presente altresì che nel secondo comma del medesimo art. 10 è precisato che “l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all’articolo 7.” (i.e., obblighi di custodia e di corretta utilizzazione dello strumento di pagamento); e che nello stesso comma è altresì precisato che “è onere del prestatore di servizi di pagamento, compreso, se del caso, il prestatore di servizi di disposizione di ordine di pagamento, fornire la prova della frode, del dolo o della colpa grave dell’utente”
Dalla documentazione acquisita agli atti non risulta che l’intermediario abbia prodotto specifiche allegazioni volte a provare, in via presuntiva, la colpa grave del ricorrente. Infatti, l’intermediario si è limitato a osservare, in termini generici, che “i clienti sono gravati dall’obbligo di diligente custodia dei dispositivi personalizzati che consentono l’utilizzo dello strumento di pagamento, quali tessere con microchip e password, nonché di osservanza delle disposizioni contrattuali pattuite con l’intermediario”, ma nulla ha rilevato con specifico riguardo all’efficienza causale del comportamento del ricorrente nella produzione dell’evento dannoso. Pertanto, accertato il mancato assolvimento da parte dell’intermediario convenuto dell’onere probatorio cui è tenuto ai sensi dell’art. 10, comma 2, giusta le considerazioni e i principi su illustrati, questo Collegio di coordinamento ritiene che il ricorso debba essere accolto. Si osserva, infine, che non può essere accolta la richiesta, formulata dall’intermediario in via subordinata, di applicazione della c.d. “franchigia”, in quanto la stessa è prevista in ipotesi di “utilizzo indebito dello strumento di pagamento conseguente al suo furto, smarrimento o appropriazione indebita.” (art. 12, co. 3 d.lgs. n.11/2010).
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